Luca Rossi: Chi è per te Luca Rossi?
 
Maurizio Cattelan: Mi sembra quello che firma i fac-simile della dichiarazione dei redditi.
 
LR: Hai parlato della necessità di recuperare la tua “indipendenza” e quindi di prendere le distanze dal sistema dell’arte, in particolare dal mercato e dalle polemiche. Vorresti rinegoziare il ruolo di artista. Cosa non funziona nel sistema dell’arte?
 
MC: La vera anomalia del sistema è che il prezzo alto di un’opera è diventato certificato di qualità. Al di fuori di questo tutto è posto sullo stesso piano, mancano punti di riferimento critici rispetto ai contenuti.
 
LR: Sono d’accordo. Al di là del mercato vige la legge di Facebook: “mi piace/non mi piace”. Allo stesso tempo chiunque può sempre aggiornare il proprio stato e postare centinaia di contenuti. Viviamo sotto un bombardamento di contenuti e di progetti.
 
MC: E’ come stare con le finestre aperte e chiunque può tirarti in casa di tutto. Il punto non è tanto quello che ti arriva in casa ma è centrare le finestre.
 
LR: C’è quasi la paura che argomentare e approfondire, al di là del “mi piace”, significhi togliere forza alle cose. Forse perchè non si è tanto convinti di quelle cose. Anche se ho sempre apprezzato e compreso il tuo sottrarti alle interviste, non credi sia venuto il momento di argomentare? Con tutti i rischi che questo comporta. In fondo argomentare criticamente mi sembra l’unico modo per offrire un’alternativa rispetto la dittatura del mercato.
 
MC: Il mio lavoro fortunatamente non consiste nel fare interviste o scrivere libri. Cerco solo di essere coerente con le mie scelte. L’alternativa al mercato si può costruire anche attraverso delle scelte, delle azioni precise.
 
LR: Mi sembra che gli artisti, da una parte subiscono e dall’altra parte assecondano questa “religione del mercato”. Perché tu invece che accettare la sfida dei contenuti preferisci allontanarti dal sistema?
 
MC: Perché da distante le cose si vedono meglio; il sistema dell’arte è come un festa molto rumorosa e colorata: quando ci sei dentro ti travolge, se ti allontani diventa una piccola luce nella notte.
 
LR: Quindi consigli al giovane artista di allontanarsi dal sistema per interpretarlo meglio? Se pensiamo che oggi, per un artista o un curatore, conta molto essere un buon “operaio delle pubbliche relazioni”, questo tuo suggerimento può essere pericoloso.
 
MC: L’artista non deve stare al sicuro al centro della stanza, deve preferire l’angolo, le spalle al muro, il pericolo e il fallimento.
 
LR: Penso che non servano tanto nuovi artisti quanto spettatori attenti, interessati ed appassionati. Esattamente come servono cittadini attenti, interessati ed appassionati. La rivoluzione siamo noi?
 
MC: La rivoluzione è una suggestione da sabato pomeriggio. Il lunedì è già finito tutto, e si torna a lavorare come sempre. Non c’è tempo per fare la rivoluzione.
 
LR: Questo fino a quando molti “disoccupati” non si trovano liberi il lunedì mattina. Ma questo non succederà perchè il sistema sa che la cosa migliore è far galleggiare i cittadini in una condizione media, mediocre. Il recinto controllato dell’arte ha il compito di risvegliare da questa mediocrità?
 
MC: Spesso l’arte serve per dormire meglio. Bisogna stare attenti.
 
LR: Pensi che siamo alla fine dell’arte comunemente intesa, come opera da appendere o esporre?
MC: Un mercato abituato a comportarsi solo in un determinato modo, non può prendersi il lusso di un tempo di riflessione. La vera ricchezza è la possibilità di gestire il proprio tempo: avere denaro ma non avere tempo non serve a nulla. In questo sistema l’opera d’arte diventa come denaro che non ha tempo di essere speso, non serve; perde il suo centro di interesse.
LR: Nella mostra che sta per inaugurare a New York hai (letteralmente) messo tutte le tue opere al “centro” dello spazio, e le hai sospese. Come se tu volessi rimettere le opere al centro, ma allo stesso tempo mettere alla gogna vent’ anni di carriera. Un modo per mettere tutto in discussione?
 
MC: Prima di accettare l’invito del Guggenheim ho rifiutato molte proposte provenienti da musei amercani ed europei. Solitamente questo tipo di proposte mi paralizza. Ho detto di sì al Guggenheim per un fatto architettonico; l’organizzazione dello spazio ha costretto inevitabilmente a mettere tutto in profonda discussione. E questo non può che essere positivo.
 
LR: Mi sembra che la rappresentazione artistica, in questi ultimi anni, sia entrata particolarmente in crisi rispetto and un rapporto realtà-fiction sempre più complesso ed incidente. E’ più difficile fare oggi l’artista rispetto a vent’anni fa? Perché?
 
MC: Oggi devi sottostare ad alcuni rituali codificati. Se non accetti questo sei fuori, e ci sono centinaia di artisti pronti a prendere il tuo posto. Oggi l’artista, non dico l’uomo,  si deve suicidare; continuare a vivere significa cercare di fare il terrorista con barba e baffi neri: ti fermano subito.
 
LR: Quando parli di “barba e baffi” penso a percorsi di professionalizzazione forzati, capaci di minare alla base un linguaggio che debba confrontarsi con il presente e la storia. Il sistema dell’arte per come lo conosciamo oggi finirà?
 
MC: Non ho la sfera di cristallo. Comunque non credo che il sistema si dissolverà. Il sistema cercherà di resistere, esattamente come fanno tutti i sistemi. Sarà l’artista che dovrà ridefinire il proprio ruolo. Prendere profonda consapevolezza di questo è già un primo passo.
 
LR: Qualche mese fa ho messo insieme una sequenza di immagini in cui il tuo autoritratto, il fantoccio che ti rappresenta in molte tue opere, mostra una somiglianza strettissima con Massimo Tartaglia, l’artista-ingegnere che nel dicembre 2009 scagliò un souvenir del duomo sul volto di Berlusconi. Cosa ne pensi?
 
MC: La tua selezione prova della relazione ambigua che la realtà può avere con la finzione. Le opportunità della comunicazione di massa unite ad un rapporto realtà-fiction sempre più ambiguo tendono a spiazzare le possibilità dell’arte. O meglio, l’arte dovrebbe reagire a questo spiazzamento.
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LR: Come reagire? Cosa intendi concretamente quando esprimi il desiderio di rinegoziare il tuo ruolo di artista?
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MC: Io inizierei a legare dell’esplosivo alle lettere che formano le parole “ruolo di artista”.
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LR: Condivido questa tua idea. La gente non vuole più fare né il pubblico né l’allievo, vuole essere dentro la cosa. Penso che il blog si uno strumento utile. Cosa ne pensi?
MC: Come tutti gli strumenti va usato nel modo più efficace, anche il blog fa parte di quel bombardamento di contenuti di cui siamo vittime ed artefici.
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Nel 2009 Massimo Tartaglia tira in faccia a Silvio Berlusconi una piccola riproduzione del Duomo di Milano. Tartaglia assomiglia in modo impressionante ai manichini che Maurizio Cattelan usa nelle sue opere d’arte, come per esempio l’opera “la rivoluzione siamo noi”, mentre quello che accade assomiglia molto all’opera in cui il Papa viene colpito da un meteorite. 

Luca Rossi: Who is Luca Rossi to you?

Maurizio Cattelan: He seems to me to be the one who signs facsimiles of tax returns.

LR: You’ve talked about the need to recover your “independence” and thus distance yourself from the art system, particularly the market and controversy. You would like to renegotiate the role of the artist. What doesn’t work in the art system?

MC: The real anomaly in the system is that the high price of a work has become a certificate of quality. Outside of that everything is placed on the same level, there is a lack of critical reference points with respect to content.

LR: I agree. Beyond the market, the law of Facebook applies: “like/dislike.” At the same time anyone can always update their status and post hundreds of pieces of content. We live under a bombardment of content and projects.

MC: It’s like being with open windows and anyone can throw anything at you. The point is not so much what comes into your house but it’s centering the windows.

LR: There is almost a fear that arguing and going deeper, beyond “like,” is taking away from the power of things. Maybe because one is not so convinced about those things. Although I’ve always appreciated and understood your shying away from interviews, don’t you think the time has come to argue? With all the risks that this entails. After all, arguing critically seems to me the only way to offer an alternative to the dictatorship of the market.

MC: My job fortunately is not to do interviews or write books. I just try to be consistent with my choices. The alternative to the market can also be built through choices, precise actions.

LR: It seems to me that artists, on the one hand suffer and on the other hand pander to this “religion of the market.” Why do you instead of accepting the challenge of content prefer to distance yourself from the system?

MC: Because from a distance things can be seen better; the art system is like a very noisy and colorful party: when you are in it it overwhelms you, if you move away it becomes a small light in the night.

LR: So you advise the young artist to move away from the system to better interpret it? If we think that today, for an artist or curator, it matters a lot to be a good “public relations worker,” this suggestion of yours can be dangerous.

MC: The artist should not be safe in the center of the room, he should prefer the corner, his back to the wall, danger and failure.

LR: I think we don’t need new artists so much as we need attentive, interested and passionate viewers. Exactly the same way that attentive, interested and passionate citizens are needed. Are we the revolution?

MC: The revolution is a Saturday afternoon suggestion. On Monday everything is already over, and it’s back to business as usual. There is no time for revolution.

LR: That is until many “unemployed” people find themselves free on Monday mornings. But that won’t happen because the system knows that the best thing is to float people in an average, mediocre condition. Is the controlled enclosure of art meant to awaken from this mediocrity?

MC: Often art is about sleeping better. One has to be careful.

LR: Do you think we are at the end of art commonly understood as a work to be hung or exhibited?

MC: A market accustomed to behaving only in a certain way cannot take the luxury of time for reflection. True wealth is the ability to manage one’s time: having money but not having time is useless. In this system the work of art becomes like money that has no time to be spent, no use; it loses its center of interest.

LR: In the upcoming exhibition in New York you have (literally) put all your works in the “center” of the space, and suspended them. As if you want to put the works back in the center, but at the same time pillory 20′ years of your career. A way of questioning everything?

MC: Before accepting the invitation from the Guggenheim, I turned down many proposals from American and European museums. Usually these kinds of proposals paralyze me. I said yes to the Guggenheim because of an architectural fact; the organization of the space inevitably forced everything to be deeply questioned. And that can only be positive.

LR: It seems to me that artistic representation, in recent years, has particularly entered a crisis with respect to an increasingly complex and incidental reality-fiction relationship. Is it more difficult to be an artist today than it was 20 years ago? Why is that?

MC: Today you have to submit to certain codified rituals. If you don’t accept this you are out, and there are hundreds of artists ready to take your place. Today the artist, I don’t say the man, has to commit suicide; to go on living means trying to be a terrorist with a black beard and mustache: they stop you right away.

LR: When you talk about “beard and mustache,” I think of forced paths of professionalization, capable of undermining at the base a language that has to confront the present and history. Will the art system as we know it today end?

MC: I don’t have a crystal ball. However, I don’t think the system will dissolve. The system will try to resist, just as all systems do. It will be the artist who will have to redefine his role. Becoming deeply aware of this is already a first step.

LR: A few months ago I put together a sequence of images in which your self-portrait, the puppet that represents you in many of your works, shows a very close resemblance to Massimo Tartaglia, the artist-engineer who in December 2009 hurled a souvenir of the cathedral at Berlusconi’s face. What do you think about that?

MC: Your selection proves the ambiguous relationship that reality can have with fiction. The opportunities of mass communication combined with an increasingly ambiguous reality-fiction relationship tend to displace the possibilities of art. Or rather, art should react to this displacement.
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LR: How to react to it? What do you mean concretely when you express a desire to renegotiate your role as an artist?
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MC: I would start by tying explosives to the letters that form the words “role as an artist.”
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LR: I agree with this idea of yours. People don’t want to be an audience or a student anymore; they want to be in it. I think the blog is a useful tool. What do you think?

MC: Like all tools it has to be used in the most effective way, the blog is also part of that bombardment of content of which we are both victims and perpetrators.
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In 2009 Massimo Tartaglia throws a small reproduction of the Milan Cathedral in Silvio Berlusconi’s face. Tartaglia bears a striking resemblance to the mannequins that Maurizio Cattelan uses in his artworks, such as the work “the revolution is us,” while what happens looks very much like the work in which the Pope is hit by a meteorite.