NS: 15 anni di “Luca Rossi”. Una critica quotidiana che dura da 15 anni. 5475 giorni. Come è possibile?
LR: Prova a cercare su YouTube “IMG 5475”. Luca Rossi è un esercizio critico e auto critico. Come nutrirsi ogni giorno, non facciamo fatica a nutrirci.
NS: Oggi sentiamo in giro le persone parlare come Luca Rossi e usare alcuni tuoi concetti cognati 15 anni fa. Siamo tutti Luca Rossi?
LR: Esattamente. Siamo diventati tutti Luca Rossi, non tutti ne sono consapevoli. Molti sono ciechi anche davanti allo specchio.
NS: Alcuni sostengono che se tu non avessi spinto così fortemente sulla parte critica oggi saresti maggiormente accettato dal sistema.
LR: Se non ci fosse la parte critica più dura e difficile da accettare, non esisterebbe Luca Rossi. Soprattutto perché questa critica, quindici anni fa, l’ho rivolta prima di tutto verso me stess3 e questo mi ha salvato. Ma mi ha salvato non solo rispetto all’Italia ma anche rispetto alla scena internazionale. Oggi tramite l’academy e il progetto di coaching sento il bisogno di trasferire questa possibilità di “salvezza” anche ad altri. Inoltre il mio lavoro critico mi ha costretto ad una “quarantena salutare”, ossia mi ha costretto a stare lontano da certe dinamiche tossiche che poi sul lungo periodo si rivelano delle stampelle inutili, destinate a illudere e deludere. Questo mi ha permesso di trovare nuove soluzioni, permettendomi di sperimentare concretamente una nuova definizione di museo, un nuovo ruolo di artista e quindi un concetto diverso di opere d’arte.
NS: Una delle prime definizioni di Luca Rossi era una fusione e confusione di tutti i ruoli del sistema. Ti rivedi ancora in questa definizione?
LR: Assolutamente si. Solo nel momento in cui vesto tutti i ruoli del sistema posso bypassare il sistema superarlo e non essere dipendente da esso. Oggi qualsiasi progetto di arte contemporanea non può evitare di partire da una visione critica; tutto ciò che sale sul piedistallo della rappresentazione, senza una lettura critica, diventa automaticamente pretenzioso design d’ interni, IKEA evoluta. Non si tratta di fare critiche istituzionale ma si tratta di avere senso critico per poter superare la critica istituzionale e trovare sentieri alternativi.
NS: Tipo?
LR: Sicuramente un concetto di “Slow Art”, quindi lontano dallo stordimento e dal caos che siamo abituati a vedere in fiere e biennali che si susseguono in modo sclerotico. E quindi un collezionismo più sostenibile sul contemporaneo. Un pubblico più consapevole. Un ruolo di artista che sappia abbandonare pose rigide e nostalgiche e ormai totalmente anacronistiche. Un lavoro critico e curatoriale più simile ad una forma di coaching e di allenamento per ottimizzare l’attitudine degli artisti. E infine l’arte contemporanea come una palestra e un laboratorio per sperimentare e allenare la nostra capacità di vedere.
NS: Ma è possibile? Non è stato fatto tutto?
LR: Ricordo che in un’intervista con Giorgio Andreotta Calò lui mi disse che l’Italia era una pozzanghera (anche se lui lavora al 99% solo in Italia) e poi mi disse che tutto bene o male é stato fatto. Io invece credo che oggi ci siano autostrade da percorrere per gli artisti, perché il nostro mondo offre tantissime nuove sfide… e questo non avviene solo perché abbiamo sistemi scolastici e formativi non aggiornati e non adeguati. Quindi si cavalca unicamente la cultura dell’aperitivo e il doping delle pubbliche relazioni per trasformare il sale di Vanna Marchi in oro. Non si tratta di fare la guerra a nessuno ma si tratta del coraggio di vedere che il “re è nudo. Fare una biennale e una fiera in meno per poter fare una biennale e una fiera più sostenibile e più interessante in futuro.
NS: Pensi di aver cambiato il sistema?
LR: Assolutamente sì, perché ho sperimentato in questi anni una nuova idea di museo, una nuova idea di collezionismo, una nuova idea di artista e una nuova idea di pubblico. Il fatto che il sistema ufficiale non mi abbia riconosciuto del tutto é un buon segno, perché vuol dire che le critiche che faccio al sistema sono corrette, se mi riconoscesse totalmente vorrebbe dire che qualcosa non funziona.
NS: E Luca Rossi rispetto la scena internazionale?
LR: L’Italia è solo lo scimmiottamento in piccolo di quello che accade sulla scena internazionale. Mi sembra che nella storia dell’arte non esista un progetto artistico dove l’autore stesso, tramite le nuove tecnologie, ha saputo creare un contesto critico, utile e necessario, per sviluppare un percorso artistico inedito. Luca Rossi esorcizza e stigmatizza il “signor Rossi qualsiasi” che con in mano un cellulare può operare in modo stupido o in modo virtuoso. Siamo davanti ad una rivoluzione che al momento viene percepita solo in laboratorio, bisogna trovare le forze, le risorse e le energie per portare questa rivoluzione fuori dal laboratorio, perché chiunque (artisti, curatori, direttori di museo, collezionisti ecc.) potrebbe interpretare a proprio modo questa rivoluzione. Nei prossimi 15 anni devo fare questo!
NS: Hai realizzato più di 30 progetti in tutto il mondo, sei stato definito la personalità artistica più interessante in Italia e la “nuova Vanessa Beecroft”. Un progetto di formazione online per artisti e curatori, una nuovo modo di fare critica con il coaching. Progetti di divulgazione e stai per inaugurare a Bologna (24 aprile da Magazzeno) e un bipersonale e a Berlino una personale (26 aprile da Campanini). Sei soddisfatto?
LR: Se il sistema mi riconoscesse completamente vorrebbe dire che qualcosa non funziona perché viviamo in un sistema del contemporaneo profondamente malato, soprattutto per quanto riguarda le ultime generazioni di artisti e curatori. Io sono molto soddisfatto del progetto “Luca Rossi”, mi ha profondamente arricchito e ogni anno facciamo un passo in avanti.